
Il 19 luglio 1903 il sig. Adolfo Pini presentò presso gli uffici comunali la richiesta di Nulla osta per opere edilizie per la realizzazione di una nuova casa in via Vittor Pisani, quella che sarebbe diventato il civico 19. Così è descritta, probabilmente dallo stesso ing. Paolo Bonzanini incaricato del progetto e della direzione lavori:
“La casa, come risulta dagli annessi tipi, si compone di un corpo doppio di fabbrica in fregio alla via Vittor Pisani, e di un corpo semplice al lato nord della carta unita al precedente. Ambedue questi corpi di fabbrica constano del piano terreno rialzato e di quattro piani superiori. La casa è servita da due scale illuminate direttamente dalla corte, da aperture a balconcini. Gli appartamenti ai diversi piani sono formati da 4 a 6 locali ad eccezione del I° piano superiore che fa due soli appartamenti uno di 9 locali e l’altro di 4. La corte ai lati nord e est è limitata dai due corpi di fabbrica suddetti, mentre ai lati sud ed ovest è limitata dai muri di cinta divisori coi giardini rispettivamente di proprietà Erba e Pirelli”.
Descrizione esauriente, che trascura però qualsiasi tipo di questione architettonica e linguistica per limitarsi a raccontare una mera edilizia di una casa d’affitto, il cui compito era quello di offrire una facciata dignitosa, nel rispetto del decoro urbano, caratteristica della città borghese a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Non che ciò costituisse un problema, anzi; Milano oggi ha sembianze di una città proprio in virtù di quel decoro, che entropicamente si dissolve poco a poco per lasciare posto al… nulla.
La cosa migliore della casa è tuttavia proprio la sua facciata, così semplicemente ignorata dal buon ingegnere: classicamente composta, misurata e serena nella consueta ripartizione euritmica tra pieni e vuoti. Chissà se dietro c’è la mano di qualche ignoto architetto o disegnatore! Oppure no, il buon Bonzanini era bravo anche in quello? La planimetria, forse perché adattata ad un lotto già circondato da costruzioni esistenti, pare decisamente meno riuscita, asimmetrica ed un poco sgraziata – tra l’altro con il corpo di fabbrica semplice nel cortile esposto praticamente a sud.
In ogni caso, la Commissione igienico-edilizia esaminò i disegni il 30 luglio 1903 e li approvò senza alcun problema. Via Vittor Pisani all’epoca era ancora non del tutto edificata; per questa ragione tra il 3 ed il 4 agosto successivo furono consegnati i punti fissi e redatto il consueto verbale: “La linea frontale degli zoccoli di detta costruzione dovrà corrispondere alla retta congiungente le massime sporgenze degli zoccoli delle case laterali, l’una in via Vittor Pisani N. 17, l’altra avente accesso in piazza Andrea Doria N. 1”.
I lavori probabilmente iniziarono nello stesso mese di agosto, se già il 12 dicembre fu fatta richiesta della Prima visita, relativa alle opere in rustico; visita che, beninteso, fu poi effettivamente eseguita un mese dopo, il 14 gennaio 1904, riscontrando però ancora la non completezza dei lavori. Una seconda visita suppletiva, questa volta definitiva, fu pertanto eseguita il 15 febbraio successivo. Si riscontra insomma una abitudine che doveva essere piuttosto diffusa a quel tempo: per accelerare i tempi burocratici, probabilmente si richiedevano le visite con un certo anticipo anche se le opere non erano del tutto o non erano proprio terminate.
La Seconda visita, relativa alle opere al civile, fu invece richiesta il 23 giugno ed eseguita il 20 luglio 1904; mentre la Terza visita, per l’abitabilità, fu richiesta il 18 agosto ed eseguita il 6 ottobre 1904. Poco più di un anno di tempo di lavori è un tempo tutto sommato non brevissimo secondo gli standard dell’epoca, in considerazione del livello “medio” della casa in costruzione.
La vita terrena di Casa Pini terminò i primi anni Sessanta, con la realizzazione della “nuova” via Vittor Pisani: circa sessant’anni, piuttosto poco per una costruzione. In ogni caso essa fu giudicata meritevole di essere inserita tra le facciate più interessanti di Milano nella raccolta “Le costruzioni moderne in Italia”, alla tavola 42 – benché risulti il solo nome dell’ing. Adolfo Pini quale progettista e non si menzioni invece l’ing. Paolo Bonzanini che pure firmò i disegni. E’ probabile che il proprietario ingegnere avesse pertanto comunque svolto un certo ruolo, per così dire, progettuale, affiancandosi o, chissà, forse anche sostituendosi talvolta, al buon Bonzanini.




