Il cav. Clemente Savonelli, vero e proprio self made man, già impiegato nei Magazzini Bocconi, nel 1887 gestiva un magazzino di confezioni di abiti per uomo e ragazzi in via Torino 2 angolo via Orefici dal curioso nome “Alla Giardiniera”, con filiali a Torino, Venezia e Roma. Casa Rossignol – così si chiamava il fabbricato che ospitava il magazzino, visibile da alcune fotografie e cartoline d’epoca – era destinata a scomparire per allargare la stretta via medioevale come previsto dal piano regolatore, pertanto il cav. Savonelli si propose di creare un magazzino ancora più grande nei pressi di quelli che si sarebbero chiamati i cosidetti “Quartieri nuovi” intorno alla nuova arteria che da piazza del Duomo avrebbe condotto al Castello Sforzesco.

La ditta Savonelli & C. acquistò, tramite la Cassa di Sovvenzione ai Costruttori, i caseggiati compresi tra via San Prospero, Broletto, Mangano e Santa Maria Segreta per un totale di circa 3.000 mq, la cui demolizione avrebbe assicurato 1.200 mq di superficie edificabile; incaricò successivamente l’ing. arch. Franco Bellorini, con studio in via San Primo al civico 4, ed il suo socio l’ing. arch. Ippolito De Strani, per la redazione di un progetto in un lotto di terreno dalla forma triangolare ma col vantaggio di disporre di due lati verso la nuova arteria e verso la vecchia via Broletto. Savonelli chiese in particolare all’ing. arch. Bellorini di recarsi in un viaggio di studio all’estero, Parigi, Bruxelles, Londra e Berlino per esaminare le più moderne strutture dedicate ai grandi magazzini. 

Le costruzioni comprese tra piazza Castello e quella che era stata chiamata “piazza Ellittica”, destinate ad edifici di civile abitazione con uffici e botteghe, su terreni di proprietà della Società di Sovvenzione ai costruttori, furono “assoggettate da parte del Comune di Milano a delle norme di un regolamento edilizio speciale, che determinava la loro altezza in M. 23,00 dal piano del marciapiede alla linea superiore di finimento delle gronde, attici o parapetti” . Il regolamento edilizio speciale, non del tutto conforme rispetto a quello vigente dal 22 febbraio 1889, prevedeva inoltre che il piano terreno fosse alto almeno m 5,00 ed i successivi almeno 3,65 da pavimento a pavimento, con licenza di un piano – normalmente l’ammezzato – alto solamente m 3,00;  inoltre che i cortili avessero una superficie di almeno 70 mq ed il suo lato minore lungo almeno 7 m, con l’eccezione di eventuali cortili di servizio per i qual erano concessi 30 mq con un lato di almeno 5 m e per quelli che non aeravano locali con permanenza di persone, tipo cavedi.

Il progetto definitivo destinava ai grandi magazzini il piano terreno e l’ammezzato, oltre al piano sotterraneo adibito a deposito, lasciando i piani superiori a civile abitazione; questa scelta, relativamente ovvia, richiedeva tuttavia una certa attenzione alla distribuzione delle scale ed alla differenti aperture dei vari piani – più estese possibili per le vetrine del magazzino e più limitate nei piani superiori – per la volontà, caratteristica dell’epoca, di cercare di armonizzare il più possibile le differenze piuttosto che accettarle. Il risultato fu una alchimia di ghisa, vetro e granito, che a tratti può apparire macchinosa ma non priva comunque di una certa eleganza, lodata anche da re Umberto I durante la visita ai lavori a Milano il 30 maggio 1889 . L’ingresso principale fu collocato nel prospetto d’angolo verso la “piazza Ellittica” in modo da creare due gallerie, una verso via Broletto e l’altra verso quella che sarebbe diventata via Dante. Il cortile centrale sarebbe stato coperto da un velario in vetro di forma ellittica sotto il quale avrebbero collocato una aiuola di piante e fiori a simboleggiare il nome del Grande Magazzino. 

Il cav. Savonelli avrebbe voluto inaugurare il nuovo grande magazzino per il 1° maggio 1890 “per solennizzare il decimo anno del suo primo impianto a Torino” , ma dovette aspettare fino alle ore 20 di domenica 11 maggio per l’inaugurazione; credo che tuttavia fosse comunque soddisfatto giacché “una squadra di 40 guardie di P.S. a stento otteneva di regolare l’entrata nello stabilimento” e verso le ore 21 “la ressa era tale che là dentro che per qualche minuto restò materialmente impedita la salita e la discesa dal pur non angusto scalone” . 

Il sig. e signorina Savonelli accompagnarono per l’edificio le personalità più eminenti che erano intervenute: il sindaco Belinzaghi, il duca Visconti di Modrone, il principe Trivulzio, il marchese Stanga ed altri personaggi dell’aristocrazia milanese, oltre ad architetti, artisti e professionisti, ai quali fu regalato per ricordo un piatto di porcellana con l’immagine del palazzo. 

Il fabbricato fu poi esaminato il 16 aprile 1892 dalla apposita Commissione destinata a giudicare le nuove costruzioni erette in via Dante, secondo il concorso deliberato dal Comune di Milano in data 29 marzo 1889: la Commissione avrebbe dovuto valutare la bellezza architettonica, il decoro della costruzione e “la razionale corrispondenza delle parti esterne colle interne” . Gli edifici esaminati furono in totale solamente quattordici, in quanto alcuni non erano ancora stati completati. Il fabbricato fu giudicato insieme al prospiciente palazzo de “La Fondiaria”, dei medesimi architetti, in maniera ambivalente: “se l’idea artistica non è sempre felicemente trovata, nè sviluppata, si rivela sempre l’opera di costruttori valenti, specialmente nella soluzione di ardui problemi statici” .

Per un beffardo caso del destino – la serendipità mi ha sempre affascinato, lo ammetto – il cav. Clemente Savonelli morì nella sua villa al lago di Como, alle ore 9 del 12 maggio 1896, quasi nell’anniversario dell’inaugurazione dei suoi magazzini in via Dante, a causa di una “paralisi progressiva” . Tuttavia le cronache del tempo, forse distratte per la disfatta di Adua, che calamitò l’attenzione nazionale, dedicarono scarsa attenzione alla sua scomparsa.


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